domenica 23 marzo 2014

7, Novembre 2013




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Ho deciso di partire perché sapevo che restare nella mia amatissima città non mi avrebbe portato molto lontano. Adoro Pesaro, le sue feste in spiaggia, i locali in Baia, i dj set improvvisati nei garages, il bar sotto casa dove alle sei ti fai lo spritzettino. Ed è perfetto vivere nella casa dei miei senza i miei, perché uno sta ad Ancona, l’altra a Roma. Non pago affitto, niente di niente, giusto internet e le multe di mio padre, perché la sua moto è ancora registrata al vecchio indirizzo. Faccio l’illustratrice di mestiere e trascorro la maggior parte del tempo a sognare a bocca aperta sulla mia scrivania. A bocca aperta, sì, proprio come un pesce in attesa di ancorarsi a un amo che lo tiri fuori dall’acqua.
Bella, la vita da fagiolona.
Guadagno bene quando lavoro, ma non lavoro granchè. Si arrotonda d’estate, quando c’è la stagione, do lezioni private di photoshop, leggo i tarocchi di tanto in tanto. Ho cercato posti da graphic designer, ma io non sono una graphic designer, anche se la so fare benissimo, sono laureata in lettere moderne e in qualcos’altro all’Accademia di Brera. Sono il personaggio inflazionato dei dattiloscritti d’esordio, e non è la crisi economica, non c’entra la politica, o perlomeno, in parte. Sono figlia della mia Italia diseducata, infantile, che non vuole crescere, con le sue palazzine a tre piani, dove al pianterreno ci vive sempre una nonna, al secondo il figlio maggiore, al terzo il minore, e via fino alla soffitta restaurata.
Avevo sentito le storie di chi se ne era andato, chi a Londra, chi a Parigi, qualcun altro negli Usa e altri ancora in Australia. Poi in un momento xy dell’estate mi sono decisa pure io. Basta con le pomiciate garibaldine Dalla Cira e i lavoretti. Che non fosse la volta buona che trovo un lavoro che mi piace! E perché no, magari mi innamoro pure. Mia sorella in Australia c’era stata cinque anni prima e premeva che ci andassi.
Così nell’arco di una settimana ho comprato il biglietto. E se il presupposto era quello di andare lontano, bè, posso dire che il primo obiettivo è stato raggiunto con successo.

Non sto a raccontare come ho trascorso l’estate, prima di prendere l’aereo intendo. Ho avuto un’ansia di dio durante la scelta Australia o California, poi ho cominciato a preoccuparmi che qualcosa potesse andare storto. Per il resto tutto uguale, nessun colpo di scena amoroso, un paio di rivelazioni forse, ma niente di eccezionale, niente che già non sapessi.
In aereo sto seduta vicino a un prete filippino di vent’anni. Inizia ad attaccarmi bottone e come tanti altri giovani preti non disdegna le giovini fanciulle. Viaggio con la Qantas e mi guardo le pubblicità musulmane sul micro-schermo, lui e lei in piscina, lui che nuota raggiante e ignudo, lei che sorride da lontano rigirata in più seta che un baco. Atterro a Doha. Si vede un pezzetto di città dalla pista di atterraggio e tempo di entrare mi trovo davanti a una fiumana di sceicchi. Qui i computer e i cellulari costano una cacchiata. Il mio gate era imboscato, c’ho messo una vita a trovarlo. E aspetto. Quattro ore di scalo. Faccio stretching, mangio qualcosa. Non ascolto la musica, non leggo niente, mi guardo intorno.
Al momento di imbarcarsi un ragazzo del Senegal mi sorride e io ricambio cortesemente. Mi chiede qualche generalità, quanti anni ho bla bla, se sono sposata, poi di punto in bianco mi si candida come possibile consorte, così, con la stessa aria speranzosa di chi si augura di trovare un tavolo libero in un ristorante affollato. Al mio diniego ("Mi dispiace ma sto andando a trovare il mio fidanzato a Melbourne, ci sposeremo tra un paio di mesi, quando torneremo in Italia") una signora filippina prima mi guarda commossa poi smania per farmi sentire il suo buon italiano, accento romano strettissimo, e finisce col descrivermi dettagliatamente l’appartamento in Piazza di Spagna dove lavora ormai da tredici anni: O_O 
Sorvoliamo, lentamente, l’Oceano Indiano. Stavolta faccio amicizia con un artista australiano di origini siciliane, Eolo, sì esatto, proprio come il vento e il nano di Biancaneve. Parliamo di tante cose, gli sto simpatica, mi passa un paio di contatti per lavorare a Melbourne. Uno è di Brunetti, una delle caffetterie italiane più famose della città che assume solo italiani, l'altro di un tale Giancarlo, manager di una fabbrica di pizze surgelate.
Quando atterriamo sono un po’ in paranoia per i controlli, sapete Airport Security ci ha segnato un po’ tutti. Ma alla fine manco mi guardano e mi mettono il timbro sul passaporto.
Sono ufficialmente in Australia. Melbourne, 7 Novembre 2013.

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