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Ho deciso di partire perché sapevo che restare nella mia amatissima città non mi avrebbe portato molto lontano. Adoro Pesaro, le sue feste in spiaggia, i locali in Baia, i dj set improvvisati nei garages, il bar sotto casa dove alle sei ti fai lo spritzettino. Ed è perfetto vivere nella casa dei miei senza i miei, perché uno sta ad Ancona, l’altra a Roma. Non pago affitto, niente di niente, giusto internet e le multe di mio padre, perché la sua moto è ancora registrata al vecchio indirizzo. Faccio l’illustratrice di mestiere e trascorro la maggior parte del tempo a sognare a bocca aperta sulla mia scrivania. A bocca aperta, sì, proprio come un pesce in attesa di ancorarsi a un amo che lo tiri fuori dall’acqua.
Bella, la vita da fagiolona.
Guadagno bene quando lavoro, ma non lavoro granchè. Si
arrotonda d’estate, quando c’è la stagione, do lezioni private di photoshop,
leggo i tarocchi di tanto in tanto. Ho cercato posti da graphic designer, ma io
non sono una graphic designer, anche se la so fare benissimo, sono laureata in
lettere moderne e in qualcos’altro all’Accademia di Brera. Sono il personaggio
inflazionato dei dattiloscritti d’esordio, e non è la crisi economica, non
c’entra la politica, o perlomeno, in parte. Sono figlia della mia Italia
diseducata, infantile, che non vuole crescere, con le sue palazzine a tre
piani, dove al pianterreno ci vive sempre una nonna, al secondo il figlio
maggiore, al terzo il minore, e via fino alla soffitta restaurata.
Avevo sentito le storie di chi se ne era andato, chi a
Londra, chi a Parigi, qualcun altro negli Usa e altri ancora in Australia. Poi
in un momento xy dell’estate mi sono decisa pure io. Basta con le pomiciate
garibaldine Dalla Cira e i lavoretti. Che non fosse la volta buona che trovo un
lavoro che mi piace! E perché no, magari mi innamoro pure. Mia sorella in
Australia c’era stata cinque anni prima e premeva che ci andassi.
Così nell’arco di una settimana ho comprato il biglietto. E
se il presupposto era quello di andare lontano, bè, posso dire che il primo
obiettivo è stato raggiunto con successo.
Non sto a raccontare come ho trascorso l’estate, prima di
prendere l’aereo intendo. Ho avuto un’ansia di dio durante la scelta Australia o California, poi ho cominciato a preoccuparmi che qualcosa potesse andare storto. Per il resto tutto uguale, nessun
colpo di scena amoroso, un paio di rivelazioni forse, ma niente di eccezionale,
niente che già non sapessi.
In aereo sto seduta vicino a un prete filippino di
vent’anni. Inizia ad attaccarmi bottone e come tanti altri giovani preti non
disdegna le giovini fanciulle. Viaggio con la Qantas e mi guardo le
pubblicità musulmane sul micro-schermo, lui e lei in piscina, lui che nuota raggiante e ignudo, lei che sorride da lontano rigirata in più seta che un baco. Atterro a
Doha. Si vede un pezzetto di città dalla pista di atterraggio e tempo di entrare mi trovo davanti a una fiumana di sceicchi. Qui i computer e i cellulari costano una cacchiata. Il mio gate era
imboscato, c’ho messo una vita a trovarlo. E aspetto. Quattro
ore di scalo. Faccio stretching, mangio qualcosa. Non ascolto la musica, non
leggo niente, mi guardo intorno.
Al momento di imbarcarsi un ragazzo del
Senegal mi sorride e io ricambio cortesemente. Mi chiede qualche generalità, quanti anni ho bla bla, se sono sposata, poi di punto in bianco mi si candida come possibile consorte, così, con la stessa aria speranzosa di chi si augura di trovare un tavolo libero in un ristorante affollato. Al mio diniego ("Mi dispiace ma sto andando a trovare il mio fidanzato a Melbourne, ci sposeremo tra un paio di mesi, quando torneremo in Italia") una signora filippina prima mi guarda commossa poi smania per farmi sentire il suo buon italiano, accento romano strettissimo, e finisce col descrivermi dettagliatamente l’appartamento in Piazza di Spagna dove lavora ormai da
tredici anni: O_O
Sorvoliamo, lentamente, l’Oceano
Indiano. Stavolta faccio amicizia con un artista australiano di origini siciliane, Eolo, sì esatto, proprio come il vento e il nano di Biancaneve. Parliamo di tante cose, gli sto simpatica, mi passa un paio di contatti per lavorare a Melbourne. Uno è di Brunetti, una delle caffetterie italiane più famose della città che assume solo italiani, l'altro di un tale Giancarlo, manager di una fabbrica di pizze surgelate.
Quando atterriamo sono un po’ in paranoia per i controlli,
sapete Airport Security ci ha segnato un po’ tutti. Ma alla fine manco mi guardano e mi mettono il timbro sul passaporto.
Sono ufficialmente in Australia. Melbourne, 7 Novembre 2013.
fiko, seguirò stò tuo blog
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