Sono trascorsi all’incirca dieci giorni dal mio licenziamento e grazie a Nicoletta ho già un nuovo lavoro.
Esattamente quello che avevo
chiesto all’Universo: part time, in centro, gestito da australiani, tutti ma
proprio tutti che parlano inglese, ambiente friendly. Nicoletta conosceva un capo cuoco in cerca di un kitchen-hand e io ero arrivata al momento giusto.
Premetto, il kitchen-hand non è
proprio un lavoro da donna. C’è da fare il delivery – ovvero trasportare sacchi di chili di roba dalla
strada al magazzino per tre rampe di scale –, lavare quintalate di piatti,
sgrassare teglie e pentoloni, e ripulire ogni sera una cucina unta più di un
cadavere ai tempi di Gesù. E poi preparare i petti di pollo, le insalate e una
specie di palline appiccicose, ma dei piatti ne parliamo dopo.
Aaron, il capo cuoco, è
israeliano. Mi chiede di mostrargli i muscoli del mio braccio, ma è chiaro che
scherza. Comincio subito. In cucina ci sono Barati del Nepal, Nick della Nuova
Zelanda, Hanna dell’Inghilterra e Keval dell’India. Ok, lo so, anche qui tutti
stranieri ma l’inglese lo parlano bene, per quanto gli accenti sono tanti e
tutti differenti e io stessa ho ancora tanto da imparare.
Ho scritto tempo fa in un post di
facebook che ogni tanto mi aiutavo con le onomatopeiche: è vero. Non capivo
tanto all’inizio. Era diverso leggere un libro comodamente a casa,
chiacchierare con gli ubriachi nei pub eccetera. L’inglese è una lingua stronza.
Dicono che è semplice i tedeschi, i nord europei e chi non la conosce bene.
Solo to get per conto suo incute timore;
senza accollargli poi i vagoncini di in, to, at, for,
fino ai mostruosissimi phrasal verbs,
anche se, dopo un po’, quando impari a familiarizzare con le preposizioni, si
apre un universo di combinazioni fantastiche che la lingua italiana non ha.
L’italiano ha un vocabolario che lascia poco spazio agli equivoci, una parola
vuol dire quella cosa lì e basta. Significato e significante sono per la
monogamia, fedeli come colombe, sono rari i casi di tradimento coniugale. In
compenso c’è molta più libertà nella composizione della frase; e laddove
l’inglese si irrigidisce, l’italiano fluisce acquoso, gioca a cambiare posa, fa
un dispetto solo per vedere l’effetto che fa.
«AS WELL a me piace la musica
elettronica AS WELL.»
«È meglio che non usi quel
coltello AS WELL, se usi quest’altro preferisco AS WELL.»
Non ho mai sentito tanti as
well tutti insieme. Nell’inglese scritto
non si usa così tanto e comunque doveva essere anche colpa di Barati, il cuoco
nepalese: ci inzaccherava un po’ tutto, come faceva col coriandolo che ci
mancava poco lo mettesse nel caffè as well.
Ma che vuol dire as well?
Significa anche.
Non è sempre vero però, perché in
certe frasi anche non mi
dice niente!
Ah, ecco: significa anche ma può essere svuotato del suo significato per
intercalare.
Ho capito. Quindi deduco:
As well sta all’inglese, come tambien sta allo spagnolo, come diobò sta al pesarese.
Soddisfatta mi rimetto ai miei
doveri.
Non saprei dire se preferivo lavorare al mattino o alla sera. Al mattino si cucinava e alla sera si lavava. Forse lavare mi lasciava più libertà di passare da un pensiero all’altro, di sviaggiare in generale. E non mi erano d’aiuto solo i gesti ripetitivi dello sfregamento spugna in mano ma anche la musica elettronica di sottofondo e l’eco delle ordinazioni.
Non saprei dire se preferivo lavorare al mattino o alla sera. Al mattino si cucinava e alla sera si lavava. Forse lavare mi lasciava più libertà di passare da un pensiero all’altro, di sviaggiare in generale. E non mi erano d’aiuto solo i gesti ripetitivi dello sfregamento spugna in mano ma anche la musica elettronica di sottofondo e l’eco delle ordinazioni.
Chicken Parma.
È in pratica la nostra cotoletta,
petto di pollo impanato, non con il pane però, con una specie di segatura
cinese. Il mio compito era insabbiare i petti di pollo
nella farina, poi nelle uova sbattute e infine nella segatura cinese. Venivano
poi fritti e passati al forno con una fettona di prosciutto cotto (un fake di
prosciutto cotto) e il formaggio, il tutto bagnato in ultimo con la
salsa di pomodoro.
Gusto 6, Pesantezza 10
(voto 1-10)
Pizza Ball e Mac Cheese.
Un essere umano prima di me
doveva aver scotto la pasta fino a
ridurla in poltiglia, per sfaldarla ancora in una salsa di pomodoro e formaggio. A me arrivava una teglia con uno strato solido e gommoso,
spesso due dita, da tagliare con il coltello a scacchiera per poi fare di ogni
quadratino una pallina. Tutto in frigo e alla fine bagnetto al tuorlo e
segatura cinese. Anche loro, le bimbe, venivano fritte.
Gusto 5, Pesantezza 10
I nomi dei panini non me li
ricordo. Non erano male, c’era la carne di manzo dentro o di pollo, i peperoni
scottati e tagliati a lunette, formaggio fuso e salsine, accompagnate dalle fries o dalle wadges, patatine fritte lungiformi le prime, taglio da patate arrosto le
seconde. Ottima la bistecca, di cui mi sfamavo ogni santo giorno, servita con
le patate saltate in padella con la buccia, i fagiolini e una pannocchia alla
brace.
Per più di due mesi ho mangiato sempre bistecca e ora sono tre mesi che mangio esclusivamente
vegano. Fisicamente non ho notato differenze, a parte che il vegano gonfia e la prima mi faceva acidità. Meglio di tutto è quando sto a casa mia. Ma in giro ti arrangi con quello che c'è. Quando mi viene chiesto se sono vegetariana io
rispondo “un po’”, che è come quando ti chiedono se sei fumatore, e in teoria
fumi o non fumi, ma che fare di tutte le eccezioni? Dei due tiri di sigaretta dopo cinque boccali di birra?
Non sono fumatrice. Ma a me la
rosetta con la mortadella ogni tanto mi ci va proprio, anche se evito di
comprare la carne al supermercato, sia per le povere bestiole sia per le
schifezze che gli danno. Mia sorella è un po’ più fiscale, ma quando alla Pesca
del Palio dei Bracieri della mia città ho vinto mezza gamba di prosciutto, dopo
averla spartita un po’ con gli amici, in una settimana, io e la mia
consanguinea, ne abbiamo morsicato anche l’osso.