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Adesso non mi ricordo se era un sabato o una domenica, comunque fuori mezzo pioveva e io e Giuliano eravamo rimasti a casa da soli perché tutti gli altri lavoravano. Sto lunga sul divano sotto un piumone gigante senza fodera. Penso che non ho fame, non ho fame, non ho fame.
«Che ti cucino, Baldi?»
Mugolo qualcosa. Nel frigo non c’è granché così andiamo a
fare la spesa. Woolwhorts è dietro
l’angolo. Non ci azzardiamo a sperimentare cucine strane, compriamo un bel
pacco di spaghetti, pomodoro, cipolla, quelle cose lì insomma. A casa pensa a
tutto lui, dice che gli piace mettersi ai fornelli, così io mi siedo e lascio
fare. Non sono una di quelle che mette bocca, giusto fatico a mandare giù i
piatti troppo carichi di sale, di olio, di lombrichi, ma di solito mi faccio
andare bene tutto. Giuliano è uno che magna invece, «la madre di una mia ex
ancora si ricorda, una sera a cena gli ho fatto fuori sette piadine», e mi
racconta di sua nonna, di quando le scimmiottava i super poteri di Goku per
farla ridere.
Dormiamo tutto il pomeriggio, io su un divano, Giuliano
sull’altro. Verso sera rientrano gli altri dal lavoro, stanchi, si siedono con
noi con una birra ghiacciata. Si finisce col parlare del sesso a pagamento
perché qualche ora prima era rientrato Tambu dalla Tailandia.
«Sei proprio un coglione, come si fa ad andarci sotto con
una troia?»
Lui ribatte che questa non è come le altre. Si erano
incontrati e piaciuti subito. Lei lo aveva portato a casa sua, con la sua
famiglia, e addirittura al mattino le sorelle gli facevano ciao ciao tutte
contente.
«Certo, entrava la grana. Vecchio, il segreto è scopare ogni
sera con una diversa.»
«Vuoi dire che ci sei andato vicino anche tu, allora»,
chiedo io a Giuliano.
«No, è che sono delle castagne da paura e ci sanno fare; dì
un po’, Tambu, quanto t’è costata la fanciulla?»
Si erano abbracciati stretti prima di lasciarsi. Avevano
provato ad evitarsi per un po’, ma si erano rincontrati per caso in una
discoteca, tra migliaia di persone. Lei lo aveva abbracciato forte, lui no, non
ne aveva avuto il coraggio. Messaggi in aeroporto, sia all’andata che al
ritorno.
«Lavora di giorno in un bar e la notte si prostituisce; è la
loro cultura, hanno un’altra mentalità, non si può fare un confronto con la
nostra… le thai, che grandissime donne, tremila giri a
tante fighette italiane del cazzo.»
«Oh, Tambu, che ne sai nella vita…»
«Baldi non ti ci mettere anche tu.»
«Giulio ha ragione, non c’è storia.»
Restiamo per un po’ in silenzio, chi si fa uno scolo di
birra, chi un tiro di maria. Poi esordisce Andrea, il veronese, con: «Io la
prima volta che sono andato a troie, è stato con una signora di 60 anni. Ero un
ragazzino, c’avrò avuto sì e no 14 anni ma, raga, questa li portava bene
proprio, sembrava una cinquantenne, una signora di classe, veramente…»
Mi sbrego dalle risate, poi guardo Giuliano. Sta seduto
sulla poltrona come un vecchio del bar, la schiena aderente allo schienale, i
gomiti sui braccioli, una mano regge la birra, l’altra una sigaretta di tabacco.
Ogni tanto quando parla dei tic impercettibili gli attraversano il volto. Ha i
capelli un po’ arruffati dietro la nuca, anche se sono lisci e corti, e penso
che mi piace.
«Stammi invece a sentire, Giulio», gli fa Tambu con gli
occhi diversi, «io sono rimasto senza soldi, non è che hai qualcosa per me?».
«Com’è Giulio, che vi siete messi a fare i delinquenti?»
«Io, fosse per me, starei anche buonino, ma se il sistema
non mi aiuta io mi ingegno.»
Stiamo entrando nella Library, Swanston street. È lunedì e faremo lo stesso per altri dieci giorni.
Ogni giorno a cercare lavoro, sfruttando la connessione gratuita della
biblioteca che ogni quindici minuti si azzera così tocca a fare login ogni
volta. Non saprei dire quanti resumè,
ovvero curricula, avremo inviato ogni giorno. Gumtree.com.au è il Gange dove tutti i fiumi si riversano, qualcuno
offre, la maggior parte chiede. Passata la prima settimana un po’ d’ansia mi
viene, soprattutto se vedi che nessuno ti risponde. Andiamo a Lygon street con
i curricula sotto braccio per distribuirli porta a porta. Il cielo è grigio,
pioviggina. Mi butto appena vedo una gelateria, cerco di essere brillante. A
Pesaro, d’estate, quando lavoravo da Germano, facevo anche tre coni per volta; mi mettevo una
cialda tra il mignolo e l’anulare, tra l’anulare e il medio, l’altra tra il medio
e l’indice. Questo quando c’erano le mandrie di ragazzini e i genitori per non
immattirsi decidevano per loro fisso fragola e fiordilatte.
Entro poi in una salumeria, vendono anche vini e formaggi,
una signorina gentile mi chiede se ho una discreta cultura vinicola. Da Brunetti, la caffetteria, parlo con un’altra ragazza,
italiana – Brunetti assume solo
italiani – dico che il numero me l’ha dato un certo Eolo ma mi guardano strano,
non lo conosce nessuno. Mi chiede se parlo inglese, sì. Mi promettono una
chiamata in settimana per una prova. Se ti chiamano è fatta, dice Giuliano, c’è
da essere un disastro per non farsi assumere. Gli australiani, a suo dire, non
hanno voglia di spaccarsi la schiena, mentre noi italiani non solo lavoriamo
come muli ma ci ignegnamo, se c’è un problema siamo creativi eccetera, Italians
do it better secondo lui e Madonna – pure
Lady Gaga, pare.
Better o no, Giuliano mi lascia da sola, piove, quindi se
ne torna a casa. La pioggia mi sgualcisce i curricula e scioglie il toner delle
salatissime fotocopie. Resto appesa a una sensazione strana. Non so cosa fare,
se mettermi a cercare subito una stanza o aspettare di trovare lavoro. Non
posso stare in eterno dai ragazzi, sul divano con Giuliano, ho voglia di
coinquilini stranieri, di parlare in inglese e partire veramente con questa
avventura. Mi spaventano i soldi e il lavoro che fatica ad arrivare. Mi sento
un po’ persa ora che Giuliano è andato via, credo perché quel bestione cominci
a piacermi. Ma può essere perché non ho altri punti di riferimento in questo
nuovo continente e, a maggior ragione, questa inaspettata attrazione è il
campanello d’allarme per allontanarsi. A 30 anni Sansone si è fatto esperto, sa
che prima o poi Dalila gli taglierà i capelli.
Buonanotte Giu. Buonanotte Baldi. Sveglia 8,30-9, colazione,
tram 19 senza pagare mai il biglietto, Library, ogni giorno insieme. Le ragazze
d’acqua innamorate, io col sole in pesci e l’ascendente in cancro, attraversano
l’altro per propensione naturale, attivano la magia delle coincidenze solo
desiderando. Così capita che un giorno torno a casa prima del previsto, trovo
Giuliano in cucina, non vedo l’ora di dargli la buona notizia, «Non ci
crederai, ho trovato lavoro!», «Grande, anche io! E dove?», «Mi ha chiamato un
certo Giancarlo, l’amico di Eolo, sai, il tipo che avevo conosciuto in aereo,
ricordi?», «Ahahah! Giancarlo, anche il mio si chiama Giancarlo, è tutta
l’estate che lo chiamo per farmi prendere a lavorare nella sua fabbrica, ma
scusa dove…», «Io pizze surgelate…», «No, aspetta, non ci credo,
Campfield?».
Esattamente. In tutta Melbourne, da fonti assolutamente
diverse e separate ci ritroviamo ad essere in contatto con lo stesso manager.
Lui, Giuliano, erano mesi che provava a chiamarlo, io vengo contattata da lui
grazie a Eolo che avevo conosciuto in aereo. È tutto vero, giuro che non mi sto
inventando niente.
Non è finita.
Il giorno dopo, mi pare fosse un giovedì, ricevo un’altra
proposta di lavoro, interview sabato ore 13. Una certa Christine? Aveva contattato
anche lui. Ok, questo ci sta, tutti e due rovistiamo in Gumtree + Melbourne +
job. Solo che lui alla fine non ci è potuto andare perché aveva la prova in
fabbrica venerdì notte e io neppure, perché all’ultimo mi chiamano per fare la
prova sabato mattina.
Sabato, ore 5,30, l’alba. Il divano accanto al mio è vuoto.
Sono agitata, ho paura di non trovare la fabbrica, non è a Melbourne, bisogna
andarci con il treno e poi prendere l’autobus. È buio, praticamente notte, fa
freddo. Ho ancora vivo il suono del treno e l’autoparlante che avvisa la
direzione. Arrivo a capolinea verso le 6, ci sono tre operai alla
fermata, uno di loro leggerà sempre il giornale, uno fumerà la sua sigaretta
per poi sputare a terra, l’altro sigaretta e caffè. Quando arriva l’autobus
chiedo al conducente se la corsa è quella giusta per andare alla fabbrica di
pizze Giglio. Lui mi chiede da dove
vengo poi mi dice che è russo e se posso passargli il contatto del manager dove
sto andando a lavorare. Mi faccio un’idea che il mio posto di lavoro è
abbastanza ambito e che è difficile entrarci se non conosci qualcuno. Il russo
mi indica la fermata dove scendere e mi spiega che strada devo fare. Sarebbe
stato impossibile senza il suo aiuto, c’è una superstrada da attraversare, e poi
solo capannoni industriali. È mattina ormai e il cielo si è schiarito. Con me
scende una signora sulla cinquantina, una ragazza e un ragazzo indiani. È
orribile attraversare la superstrada, quattro corsie in tutto con lo
spartitraffico, tutti corrono come matti, puoi passare solo quando non ci sono
più macchine.
Grazie a dio un paio di giorni prima mi ero fatta uno
smartphone, un iPhone 3G a dire il vero, per risparmiare, che se compravo un
cellulare di legno forse era meglio. Non avevo considerato che la macchina non
avrebbe retto i più aggiornati sistemi operativi, così mi ritrovo un internet
lentissimo e una piattaforma refrattaria alle apps di facebook, whatsapp e
skype. Ormai era fatta, $200, manco poco l’avevo pagato. Le cazzate si fanno
quando non si decide a mente lucida. Anyway, almeno Google Maps funziona e mi
porta dritto dal Giglio.
C’è un gruppetto di operaie fuori della fabbrica, sigaretta
e telefonino in mano. Sono quasi le 7. Vedo Giuliano, la faccia stravolta, il
viso pallido. Mi si stringe il cuore, poi mi batte forte, è come vedere
qualcuno di casa, un porto sicuro. Gli corro incontro senza pensarci troppo,
gli prendo il viso tra le mani con una carezza e gli chiedo come è andata. Sono
diventata la sua compagna di avventure e disavventure, tutto questo è romantico
e disgraziato. Ci incontreremo solo al cambio turno d’ora in poi, pochi minuti
all’alba e altri miseri istanti al tramonto, perché lui lavora di notte, io di
giorno. Uguale a Ladyhawke, mi dico, che alla fine somiglia tanto anche alle
nostre vite.
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