lunedì 16 giugno 2014

Mi taglio i capelli da sola.


Mi taglio i capelli da sola guardando un tutorial su Youtube. In pratica ti devi fare la coda di cavallo bassa e cominci a tagliare due dita dall’elastico, in modo che non vengano troppo corti. Avrei potuto fare un video a mia volta per mostrarvelo ma non ci ho pensato. Erano tutti rovinati, li avevo colorati di rosa un casino di volte, poi ero ritornata del mio colore, sempre acidi sono. Zac, e passa la paura. Erano parecchio storti, ma che importa, sono in Australia, e poi la Cate è recidiva a questo tipo di cose. Alle superiori, un pomeriggio, a casa di un amico, in due mi avevano tagliato i capelli, uno con le forbici da carta e l’altro con quelle da pesce. Erano venuti storti anche allora. Aggiustandoli da me mi ero alla fine rasata le tempie, tenendoli corti dietro. Vabbè avevo 16 anni, ero carina lo stesso, con la giacca di vellutino rosso porpora comprata in un mercatino di Amsterdam, sbaccolata qua e là, di due taglie più grande della mia misura.
Quella sera al lavoro, due miei amici mi fanno una sorpresa e mi vengono a trovare. Sono Marco e Luciano, uno di Roma, l’altro di Palermo. Rimaniamo che facciamo una birra insieme quando stacco.
C’è un pub carino all’angolo di Elizabeth street, il Workshop. Elizabeth street, quanti ricordi. È stata una delle prime vie che ho sentito nominare. Ok, è una delle vie principali, la coronaria che unisce la periferia al centro, ma mi risuona dentro la sua eco, una voce che ha trattenuto i primi scatti del mio arrivo in Australia. Le mappe mentali che ti fai della città e che poi stravolgerai totalmente mano a mano che unisci una via all’altra, ricostruendo i pezzi della città.
Ordiniamo una jug, che poi diventeranno due. Parliamo d’amore, ci piace tanto parlare d’amore. Io faccio un po’ la spaccona, come mio solito, loro lo stesso, credo sia una componente italiana: io di qua, io di là, un mio amico ha fatto questo e quello, una gara piacevolissima a chi l’ha fatta più grossa, a chi ha il racconto più divertente. Marco ha 23 anni e fa il cuoco in un ristorante australiano. Ha la passione per la musica e ogni tanto fa qualche trasmissione in radio, nella stessa Radio Kiss sopra il Lounge, dove lavoro e dove stipiamo la roba da magazzino. Però non ci siamo incontrati mai. Ci dice che da poco ha iniziato a fare anche le pizze. Ha le idee chiare: sta mettendo da parte i soldi per lo student e restare qua. È piccoletto di statura, vestito malissimo anche lui, ma ha uno charme naturale, e una marea di donne, anche se giovane, di tutte le età – nel limite consentito. È vero, come diceva un mio amico, che “a trombare con la bocca sono buoni tutti”, ma conoscendo sia lui che Luciano non ho dubbi che sia vero. Luciano, il palermitano, lavora invece nel marketing, non mi ricordo bene. E anche lui è Mr. Casanova. Sono due amici di Nicoletta, ci siamo conosciuti in giro.
Parliamo, ridiamo, beviamo. È un pezzo che non uscivo, mi va di fare serata, di stare ancora in giro. Nicoletta s’infurierà che faccio tardi con quei due e che con lei non esco mai, ma un conto è prendere la serata come viene e improvvisare, un’altra cosa è impomatarsi tutte e andare in quei postacci con la musica orrenda dove si va a rimorchiare. Mi viene in mente il Bollicine di Misano Andriatico, una volta per ridere ci ho portato la mia mamma e una sua amica, ne avevo tanto sentito parlare quando ero piccola, è per gente che ora ha tra i 40 e i 60 anni e che negli anni ’80 ne aveva un po’ meno. È stata un’esperienza. La cosa era surreale. Le donne sui divanetti e gli uomini come sciacalli facevano le ronde e chiedevano alle signore se volevano bere qualcosa o ballare. L’amica di mia mamma non l’ha presa sul ridere e ha detto che non si è mai sentita tanto a disagio in vita sua.
Detto questo, Marco mi fa, perché non andiamo da me? Sì, dico io. Luciano però ci da buca perché il giorno seguente aveva un meeting e doveva svegliarsi presto.
Prendiamo un taxi perché dopo aver camminato per un bel pezzo i tram avevano esaurito le corse. Marco sta decisamente in periferia e vive in casa con la sua zia quasi ottantenne. Che figata, penso, in quale altro modo poteva capitarmi di finire nella casa di una signora anziana! Era come entrare a conoscenza di qualcosa di intimo e di privato, la vita di una donna emigrata a Melbourne tanti tanti anni fa con le speranze e i sogni forse uguali, forse diversi dai nostri.
È una casetta monofamiliare, pulitissima, con vecchi quadri alle pareti, foto di parenti, nipoti e cugini. Tante statuette senza senso, alcune fatte di conchiglie, altre di ceramica e stoffa.
«Non preoccuparti, parla pure ad alta voce, mia zia è sorda come una campana.»
Marco tira fuori una palla. Pasta per la pizza. Mi fa vedere come la lancia in aria e come diventa larga e fina, lancio dopo lancio. Tira fuori anche un rum e con quello ce ne andiamo in cortile. Ha un pappagallo enorme in una gabbia. È aggressivo, come ti avvicini ti becca.
«Si deve abituare a me, ma io non ho fretta. Sono capace di passare con lui ore e ore finché non imparerà a fidarsi di me.»
Il cortile e bello grande e ci sono alberi di limoni e un reticolato su cui si arrampica una vite. Quando andiamo a dormire facciamo all’amore. Poi al mattino, verso le cinque, prendo il treno per tornare a casa.

Ormai mancano pochi giorni alla mia partenza. Le ultime settimane sono intense e piene di feste. Da una parte sono contenta, dall’altra non ne posso più. Sogno la fattoria dei cavalli, svegliarmi all’alba per curare gli animali, studiare e non sentire volare una mosca. Oddio. Se vado in fattoria sarà difficile. Anyway.
Saluto i ragazzi di Pesaro ma tanto loro li sento sempre su facebook e al telefono anche se non ci vediamo quasi mai. Se penso che Matteo Magi del bar non l’ho visto un solo giorno! Eppure l’ho sentito un casino di volte, al telefono e su whatsapp, lo stesso Colo, Euso. Matteo Magi è un altro numero uno che consiglio vivamente alle ragazze. È un amatore vecchio stile, di quelli che ti riempiono di attenzioni e complimenti, 10 e lode a Matteo Magi. E poi, è approdato qui senza sapere una parola di inglese ma nel giro di poco tempo ha avuto a che fare con Kate Perry e la Formula 1. Matteo Magi, numero uno.
Marchino se n’è andato in Quensland, Giuliano ci diamo un appuntamento prima di salutarci. Appena lo vedo mi dice che deve beccare un tipo. Ok, capito. Un pomeriggio l’avevo aiutato a fare i pacchettini. Non avevo mai visto tanta erba tutta insieme. E avevo conosciuto anche il boss, un vecchio irlandese con pochi denti in bocca, 50 anni portati male, la pelle bruciata dal sole, i capelli gialli e incolti. Ma anche io! Non mi potevo innamorare di un giornalista, di un ricercatore, di qualcuno che ha fatto tre tiri di maria giusto per provare e poi basta? Di qualcuno che non ama troppo bere se non di tanto in tanto?
A Milano (prima di mettermi con un ricercatore!) facevo la cameriera in una spaghetteria di Lambrate. Frequentavo allora – nel senso di amico –  un tipo che tutti chiamavano il Rumenta. Il Rumenta aveva 40 anni, un aspetto poco raccomandabile, spacciava principalmente cocaina. Non aveva il telefono, in modo non farsi beccare, e ogni volta mi chiamava da cellulari diversi. Viveva con sua madre e i suoi problemi respiratori in una casa popolare a Rozzano. L’avevo seguito nei parchi di Milano nel cuore della notte, nelle case di buoni acquirenti che gestivano locali di una certa rendita. Una volta mi aveva detto, col suo accento cantinelante, Bimba, hai presente il tipo di prima? Ecco, dimenticatelo. La settimana dopo era stato accoltellato fuori un bar dalle parti di via Rombon. E lì era morto. Chissà che fine ha fatto, il Rumenta. Quando telefono a Teresa, la mia vicina di casa di allora, mi dice che nessuno l’ha più visto in giro. Si dice sia finito alle Canarie, da qualche amico. A volte penso che non mi sono mai fatta mancare niente. Ogni tanto qualcuno si chiede cosa diavolo ho intenzione di combinare nella vita. Per quanto mi riguarda, la risposta è vivere. Non abbiamo molto tempo, prima della morte. La morte è una realtà concreta, non dico niente di trascendentale, ma nessuno ci vuole pensare. Io voglio godermi ogni singolo istante e dico grazie alla crisi economica che ha impedito che mi trovassi un buon lavoro. Un buon lavoro è come un buon fidanzato, è sempre un’impresa lasciarlo perché anche se non lo ami più e non ti fa più felice il resto del mondo ti dice: cretina. Arrivare. Non c’è fine all’arrivo, è un videogioco a livelli infiniti che ti prende solo la scimmia di superarli. L’unico mio rammarico per il passare del tempo è che ho bisogno di riposarmi più spesso. Anyway.

Sistemata la compra-vendita andiamo finalmente a cena. Giuliano mi lascia scegliere un cinese, credo fosse il primo posto dove abbiamo pranzato. Parliamo tanto, tutta la sera. E io rido, rido da morire, con lui rido sempre da morire. Finiamo poi un un pub, non c’è nessuno, due birre in bottiglia. Ci vorrà un bel po’ prima di rivedersi ancora.

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