martedì 15 luglio 2014

«Baldi, a te capita in un giorno quello che a uno normale capita in un anno».

«E invece, di un po’, come sono i piselli di Sydney?»
La Central Lybrary è luminosa e accogliente come un Apple store. Sul tavolo in legno chiaro laminato, col beneficio del wi-fi gratuito, rispondo a Giuliano sulla chat di facebook.
«Sei sempre un signore…»
«Allora?»
«Ti ricordo che sono qui da quattro giorni.»
«Daaai, a me puoi dirlo!»
«Diavolo! Per ora ho conosciuto solo mandrie di ragazzini arrapati, per carità...»
«Ci sarà qualcuno decente…»
«No, e poi “decente” non è un grande premessa…»
«Vabbè…»
«Ma poi scusa, a te che te ne frega?»
Cielo, come mi manca.
«Comunque, io e Genna ti veniamo a trovare.»
A chilometri di distanza, nello stato del New South Galles, l’assenza di Giuliano è più forte di una sua ipotetica presenza. Per qualche ora si prende tutta la mia testa e non c’è verso di mandarlo via.
«Excuse me…»
Il ragazzo seduto accanto a me, ma sì, certo, ci eravamo conosciuti al party della sera prima.
«Hey, ciao, sì, sono io quella della festa, come stai?»
È un bravo ragazzo senz’ombra di dubbio, lombrosianamente parlando. È inglese, dello Yorkshire, quindi pronuncia bus come si scrive e non /’bas/. Parliamo delle solite cose di cui parlano tutti i backpackers. Entrami stiamo cercando lavoro, o meglio, stiamo cercando di capire cosa vogliamo fare. Restare a Sydney o ripartire?
Concordiamo che Sydney è davvero molto cara. Il rischio è spendere un sacco di soldi prima di trovare lavoro, se lo si trova. Non ho molto denaro con me, sono partita con 2,000 dollari da cui ho tolto i 250 dollari delle bollette, il treno, l’ostello e in generale sopravvivere in City.
Poi, mio problema sono sostanzialmente due problemi: la tendinite che mi ha distrutto le mani, e che quindi devo tenere a riposo, e i disegni per Emma di Jane Austen da cominciare ad illustrare tra un mese circa.
Per il libro, per il quale ho bisogno di una connessione internet, un tavolo e un lavoro part-time, la situazione ideale sarebbe fare woofing in un giardino bio-dinamico a ridosso di Sydney, magari anche sul mare. E Vamana Valley, un residence hare krisna che ospita eventi spirituali, attività di danza, yoga eccetera, sembra una buona soluzione. La descrizione del posto riporta anche la presenza di 15 volontari, e la cosa mi piace: voglio stare in mezzo ai ragazzi, famiglie e coppie solitarie bandite per sempre. Decido anyway di dormirci su.
Cazzeggio su facebook per un po’ prima di tornare in ostello. Modifico la località del mio profilo facebook, cancello Melbourne e scrivo Sydney, non si sa mai. Nel giro di nemmeno un paio d’ore vari amici mi contattano con lo stesso oggetto Oh, ma sei a Sydney?

Lo sai che a Sydney ci sta la Noe col moroso?
Lo sai che a Sydney ci vive Mascioni con la moglie? Daaii, Mascioni! Sei venuta con me un giorno a casa sua all’Acqualagna, ti ricordi?
Lo sai che a Sydney ci vive mio cugino?
Lo sai che a Sydney ci sta uno che giocava a calcetto con me nel 1998?
Lo sai che a Sydney ci vive Del Piero?

Digli che sei mia amica.
Chiedigli l’amicizia su fb, ti aiuta di sicuro a trovare lavoro, al massimo vi fate un birra!

Il bello di essere Italiani all’estero è che di sicuro non ti puoi sentire solo, nel senso che se anche ti ci impegni non ce la fai a isolarti. Deve essere qualcosa di profondamente radicato nei geni, nell’istinto, come i piccioni viaggiatori che non si perdono mai, sì, deve essere per forza qualcosa del genere. E non riguarda i francesi, ad esempio, e tanto meno gli inglesi o i finlandesi; appena forse i tedeschi, ma solo per vendersi o affittarsi autoveicoli e posti-letto, lavorare, ottenere informazioni utili per viaggiare.
La Noe comunque è in chat, M’ha detto l’Eli che sei a Sydney! Questo è il mio numero.
Mascioni intanto mi ha risposto su facebook e anche lui mi lascia il suo numero.
«Cate, madonna, come stai?»
«Ciao Marco! Bene, sono arrivata qualche giorno fa!»
«Ascolta, che fai adesso? Perché non vieni a casa mia? Oh, ma la Mari come sta?»
Finisce che vado a casa di Mascioni e di sua moglie, passiamo tutta la sera a parlare in dialetto urbinate/acqualagnese. Si discute dell’Australia, dell’Italia, della politica, della nostra generazione, il tempo che passa, le prospettive future. Mangiamo una pizza, c’è anche un’altra coppia di italiani che sono così gentili da riaccompagnarmi in ostello in macchina. Il ragazzo, Luca, 29 anni, del sud, mi racconta che si era ritrovato a Sydney completamente senza il becco di un euro, senza un posto in cui dormire. Quando sei con l’acqua alla gola ti ingegni, e lui aveva trovato ospitalità, non mi ricordo come, da un tizio che gli aveva dato il garage dove dormire. Mangiare praticamente niente per qualche giorno e poi improvvisamente trovare lavoro. Ora sia Luca che Chiara, 26, del nord, lavorano in un carwash. Coi ragazzi ci scambiamo i cellulari, magari si va a Bondi Beach insieme una di queste domeniche.
Il giorno dopo becco invece Noemi a Pyrmont. Mentre la aspetto, un ragazzo in suite elegante decide di tornare indietro.
«Ciao… è parecchio ventoso oggi!»
«Già.»
«Scusami, ma hai degli occhi bellissimi.»
«Grazie.»
«Lo so che non ci conosciamo, ma se magari ti offro un caffè ci potremmo conoscere…»
«Grazie, sei gentile… è che sto aspettando un’amica!»
«Ok, capito… e domani? Posso lasciarti il mio numero?»
«Grazie, davvero, ma sono proprio di passaggio!»
Bah. Davvero, non me lo spiego, era uno dei tanti giorni di bruttezza estrema. La felpa di Leeds University, la giacca a vento della Quequa, il naso bruciato dal sole, seduta per terra come un’accattona. Poi arriva Noemi.

Bella come il sole, lei e il suo ragazzo sono appena rietrati dall’Asia. Io e Noemi non eravamo amiche a Pesaro, cioè eravamo conoscenti. Frequentiamo lo stesso gruppo di amici, solo che quando ho cominciato a uscire con loro lei è andata a vivere a Londra. Eppure dal primo secondo che ci parliamo al telefono è come se fossimo amiche da sempre. La stessa cosa è successa con Nicoletta e Simona. Io, non mi serve tempo per innamorarmi delle persone. Questo fa capire che siamo circondati da un casino di amici potenziali. Il più delle volte la differenza la fa l’apertura con cui ci approcciamo agli altri grazie al momento giusto. Il momento giusto non è altro che la somma di elementi che rendono una particolare circostanza favorevole alla confidenza reciproca. Nel mio caso, l’elemento favorevole è stato condividere lo status di italiani all’estero. Si sa, tutto ciò che ci è familiare ci evita un sacco di fatica e il cervello tende sempre al risparmio energetico. Il bello è che il familiare possiamo trovarlo ovunque, sta a noi, e di conseguenza abbiamo anche il potere di creare il momento giusto. Quello che conta, insomma, è avere familiarità.

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