lunedì 28 luglio 2014

Giuliano, sei il mio buco nel calzino.

Sono trascorse ormai un paio di settimane dal mio arrivo e quando Philipp mi chiede per l’ennesima volta se voglio partecipare alla meditazione delle 4:00 del mattino, la mia risposta è ancora no.
Un po’ mi incuriosisce, sono sincera, ma resta di fatto che le 4:00 del mattino sono ok per rientrare a casa, non per svegliarsi. Magari è l’occasione buona per togliermi dalla testa Giuliano. Sì perché, dopotutto, che senso ha pensarci ancora?
Eppure ogni pretesto balordo me lo porta alla mente: può essere la risata inconsulta di un cocobarra tra le cime blu degli eucalipto, o l’unica mela ammaccata nel cesto di frutta. Il ragno nel bel mezzo del muro, il buco nel calzino, il segno del cuscino sulla guancia quando ti svegli; per il brivido liberato da una piccola sorprendente sorpresa. E finisce così che Giuliano, per un motivo o per un altro, ce l’ho sempre lì.
«Suoni qualche strumento?»
Philipp si aspettava una mia risposta dall’alto del suo metro e ottanta. «Peccato,» ribatte affettando il tono di voce, «poteva essere interessante». Annuisco cordialmente senza agganciarmi alla sua voglia di parlare.
La sala da pranzo è viva e languorosa. Fuori è sera e gli ospiti spostano le sedie in cerchio per stare  più vicini. C’è un uomo del Belgio che mi guarda spesso e che mi sorride. La figlia di Ruth, la cuoca, ha 12 anni e mi fa domande sul perché e sul per come disegno col computer. Io le dico alcune cose vere e altre inventate, lei capisce e cominciamo a scherzare. Philipp, che era rimasto in piedi dov’era, fila al pianoforte e comincia a suonare. Dicono di lui che sia bravissimo, ma non sta eseguendo Beethoven o Liszt, quindi non saprei. Faccio caso che ultimamente si siede spesso vicino a me a tavola ma ogni volta si agita come se stesse partecipando a un provino: fa le imitazioni, corre da una parte all’altra del tavolo, cita in sanscrito e in latino, fa il serio, il matto, l’intellettuale; e visto il multi-tasking penso che può essere anche lui dei Pesci come me, e infatti lo era.
«Tengo la lezione tra un’ora, nella casa verde; mi farebbe piacere se tu partecipassi.»
Non è che morissi dalla voglia. Volevo collegarmi su skype per parlare con Sofia e mio padre, ascoltarmi i messaggi vocali degli amici su whatsapp e guardarmi Breaking Bad. Poi Lea mi dice se mi va di fare una passeggiata con lei e Till dopo la lezione, e quindi accetto e mi prendo tutto il pacchetto.

Le scarpe vanno lasciate fuori, mi dice Lea. Stanno tutti seduti all’indiana per terra a cantare una preghiera. Philipp è al centro, vestito di una tunica bianca, suona e canta. C’è una specie di saluto da fare quando si entra, in pratica si deve accostare la fronte al pavimento. Dopo i canti, Philipp comincia la lezione. Per quanto ha soli 23 anni si atteggia con la sicurezza e l’esperienza di un uomo di profonda saggezza. Le ragazze sono visibilmente attratte dal suo personaggio e lui si compiace della loro tacita adorazione. A 30 anni suonati certe personalità non mi fanno più tanto effetto e osservo la scena con tenerezza. La lezione è strutturata come quelle degli incontri di CL, i concetti sono semplici anche per un idiota, e il vocabolario non solo è ridotto e limitato, ma è del tipo che fa presa sui disperati. Poi a una certa, quando dice senza mezzi termini che i presenti in sala sono migliori di quelli che vanno ai club e alle feste bevendo alcol, eccetera, mi viene naturale ribattere «cioè di quelli come me?».
Philipp si mette a ridere graziosamente, poi comincia il dibattito. Non dico esattamente quello che penso, anche perché sono appena arrivata, voglio studiarmela un attimo. Era un mondo totalmente nuovo per me, non avevo visto niente del genere prima. I ragazzi sono carini e gentili, tanto i monaci che i viaggiatori, nel senso che in un posto del genere non ci finisce, per intendersi, un punkabbestia, se non per disintossicarsi.
Finito tutto, io, Lea e Till ci incamminiamo per la collina. È un buio cieco, ci sono alcuni lampioni ma non illuminano tanto, per fortuna abbiamo le torce. Lea mi piace. Anche se è timida e parla pochissimo, è una ragazza sveglia. Till è un buontempone, riflette sulle questioni che gli poni e ti risponde giudiziosamente, ma senza alambiccarsi troppo o prendersene pena.
Dopo circa mezz’ora arriviamo in cima. C’è tutto il mare lì di sotto e Woolongong illuminata. Ho trovato dei nuovi amici e ne sono felice, da sola mi annoiavo troppo.

Il giorno dopo ritorno alla casa verde e chiedo di Philipp.
«Ti posso parlare di ieri sera?»
Gli chiedo un sacco di cose, lui è ben contento di rispondermi. C’è un bel sole, una bellissima giornata. Ci mettiamo in veranda a parlare.
«Quando hai deciso di diventare un monaco?»
«Avevo 17 anni, ho conosciuto un ragazzo che mi ha introdotto in un circolo hare krisna; è difficile da spiegare cosa mi ha spinto a diventarlo, l’ho sentito, così mi sono rasato a zero e sono partito per il Sudafrica, lasciando casa e scuola. Avevo i capelli lunghi, sai?»
«E tua mamma che ha detto?»
«Cos’ha detto, niente, che doveva dire, avevo preso la mia decisione.»
«E una ragazza ce l’avevi?»
Si mette a ridere, gli erano venute le fossette sulle guance. Ha la pelle rosa e chiara, quasi non c’è ombra di barba. Penso che di quel tipo lì diventano brutti invecchiandosi. Ero stata un po’ sfrontata, anche se la domanda era semplice e banale, ancora non ci conoscevamo bene e aleggiava un certo rigore nella casa verde.
«Io posso diventare monaco?»
«Vuoi diventare monaco?»
«Dico, se volessi.»
«Certo che puoi.»
«Perché allora i monaci sono tutti uomini?»
«Credo ci siano differenze tra uomini e donne, che non vuol dire –»
«Allora non è vero che posso diventare monaco? Quindi siete sessisti come nel cattolicesimo –»
«Ci sono delle differenze “biologiche” che non mi potrai negare, come che la donna è più emotiva, ha più difficoltà nel prendere il distacco dalle cose, all’uomo resta più facile, che non vuol dire che sia migliore o peggiore…»
Il discorso si faceva ampio sul ruolo del monaco, c’era da tirare fuori Platone e altre storie, per cui ho glissato e proseguito con le altre domande sul guru e come lo si diventa.
«Tu vuoi diventare guru?»
Lì l’avevo visto cambiare espressione, come se lo stessi prendendo per il culo, che un po’ effettivamente era.
«Ma che significa? Non è che lo puoi decidere tu, vieni scelto…»
«Ho capito, ma ti piacerebbe? Nel senso, come vivi questa spiritualità – non ti prendo in giro, sto solo cercando di capire… se diventi guru significa che hai raggiunto un certo livello di crescita spirituale, no?»
In lontananza vediamo avvicinarsi dei cervi. È sempre un piccolo miracolo vedere i cervi, specie da tanto vicino.
«A volte arrivano fin qui, sotto la mia finestra. Entriamo dentro, c’è un libro che voglio farti leggere.»

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