domenica 29 giugno 2014

Ecco perché in fattoria non ho resistito un giorno.

Ci vogliono circa dieci ore di pullman da Melbourne a Canberra. Che poi a Canberra devo cambiare e prendere un altro pullman per Goulburn, che non è ancora l’ultima destinazione e non lo sarà nemmeno Crookwell, il primo centro abitato da un paio di famiglie, con un bar e un benzinaio dal quale la fattoria dove sono diretta dista quaranta minuti.
A Goulburn mi era venuto a prendere Greg, un uomo sulla cinquantina con la camicia a quadri e un cappello da gaucho dalla falda larga. Salgo sul suo pick up, Greg carica lo zaino grande dietro, mi tengo davanti quello piccolo con il computer e la tavoletta grafica, visto mai le buche. Parla con un accento stretto ma riesco capire grosso modo quello che mi dice.
Non so descrivere come mi sento. La strada è dritta, ce n’è una sola, e si stringe chilometro dopo chilometro. Greg mi racconta come vende i suoi cavalli. Possiede più di 2,000 acri di terreno e un centinaio di capi che lui e sua moglie Toni crescono in libertà. Mi dice che ha buoni affari con gli americani e che vende gli stalloni a cifre vertiginose. Mi faccio silenziosa, non c’è più tanto di cui parlare. È l’ora del tramonto, wallaby e canguri corrono ai fianchi della macchina. I canguri sono enormi, visti liberi hanno dello spettacolare. Ogni tanto ce n’è uno morto ai lati della strada. Chiedo come funziona per rimuoverli, Greg dice che rimangono lì a decomporsi ma secondo me non può essere altrimenti si sarebbero visti in giro scheletri e carcasse.
Dopo un’ora arriviamo alla fattoria. Sinceramente, dopo aver visto il sito web e ascoltato i racconti di Greg mi aspettavo la fattoria dei Mini Pony, coi recinti bianchi freschi di pittura, capannoni enormi, stalle dalle pareti altissime, stallieri fisicati, lo zio Tom.
Tre cagnolini ci accolgono, scodinzolando affettuosi. Cumuli di vecchi motori, ruote di scorta bucate, pezzi di ferro abbandonati. Un albero al centro della più completa desolazione, la casa a dirimpetto. Una costruzione in legno che ricorda le foto da reportage dal titolo ipotetico Quel che resta dell’URSS, che tenuta come si deve manterrebbe ugualmente l’aspetto di una vecchia roulotte che ha ospitato storie di meth addiction e redenzione cattolicopatica.
Dentro casa invece è tutto un altro scenario. Non è vero. Ci sono però tre televisori piatti LCD accesi contemporaneamente e sappiate che qui non è come in Italia che ci è toccato il televisore col decoder per l’illegalità di Rete 4, la vecchia telly tiene ancora botta.
Toni è una donna dolcissima, anche lei sulla cinquantina. Hanno due figli, si capisce dalle foto appese. Mi siedo al tavolo coperto da una tovaglia di plastica. Greg mi offre una birra, certo, ho bisogno di bere qualcosa. La mia stanza è una vecchia camera trasformata in ripostiglio. Ci sono valigie e scatoloni piena di roba, tutta l’abitazione straborda di roba. Come succede ai canguri morti, le cose ad un certo punto trovano un posto e lì vengono dimenticate.
Mi aspetto di dovermi svegliare presto, alle cinque tipo. Durante la notte non chiudo occhio. Ah, già. Il telefono non prende. Non tanto internet, quello me lo aspettavo, ma proprio non c’è linea. Questo significa che la mia unica opportunità di socializzare è Toni e Greg, Greg e Toni. Gli animali, certo. Alla fine era quello che volevo, no? Stare lontana dalle feste e dagli eventi mondani per un po’. Studiare e basta, imparare come si accudiscono i cavalli. Poi quando meno te l’aspetti arriva Robert Redford, si fa per dire.
Al mattino colazione con un caffè. Non ho avuto bisogno della sveglia, ero all’erta a sentire i rumori della casa. Seguo Greg per il cortile, mi fa vedere dove le galline fanno le uova. Ho la mano che mi fa male, il lavoro mi ha distrutto i tendini. Mi guardo intorno, cerco di capire dov’è Toni. Chiedo a Greg di tutti quei motori e moto accatastati lasciati in mezzo al cortile. Lui vuole sapere se ho la patente, così se voglio farmi un giro in paese posso usare la macchina.
Mi dice di salire sul pick up. Siamo io e Greg e basta. Non mi sento molto a mio agio, non mi entusiasma l’idea di passare le mie giornate sola con lui. La strada è tutta dissestata. Ancora i wallaby e i canguri che ci corrono accanto, cerco di emozionarmi ma non ci riesco. Greg ha un grosso coltello vicino al sedile. Quando ferma la macchina mi chiede di aiutarlo a smontare una balla di fieno dal retro e di sparpagliarla intorno.
Il giro non termina mai. Comincio a innervosirmi, è una situazione che non mi piace. Maybe sono con la persona più buona e carina di questo mondo ma in caso contrario non avrei via di scampo. Faccio mente locale sulle possibili opzioni. Lui parla di serpenti, colgo la palla al balzo, cosa succede se morde un serpente. Succede che di solito non accade ma può sempre capitare! C’è solo da augurarsi il meglio perché l’ospedale più vicino è a più di 60 km. Quanti altri woofer avete ospitato, chiedo. Si fa una grossa risata e a quel punto realizzo che devo andarmene: tu sei la prima!
Mi sento in colpa, dubitare di questa coppia solo perché la situazione ha tutti gli ingredienti di un thriller di successo.
Al ritorno, alla sola vista di Toni mi si allarga il cuore. È ancora mattina, sarà appena mezzogiorno. Dico che sono desolata ma che voglio essere riaccompagnata a Goulbourn. Spiego che non avevo idea di come fosse dura la vita di campagna, che non mi sento molto a mio agio senza telefono eccetera.
Vuoi andartene adesso? Non vuoi provare nemmeno un paio di altri giorni?
Hai paura forse che ti ammazziamo?
Credo che la chiusa poteva risparmiarsela ma forse li capisco. Ho cercato di essere più carina possibile ma Greg ormai si era arrabbiato. Dice alla moglie di portarmi giù al paese, che lui non ne ha voglia.
Felice carico le mie cose in macchina. Abbraccio Greg, non me ne frega un accidente se se l’è presa. Sono con Toni adesso, lei è dolcissima. È un caldo afoso fuori, Toni mi aspetta fuori dal supermercato. Insiste che io compri qualcosa da mangiare per il mio lungo viaggio. Non ho ancora idea dove andare.
In stazione appoggio tutta la mia roba per terra. Telefono subito in carica. Mi fa male la mano ma sono di nuovo libera e senza un piano. Non ho molto denaro con me, devo trovarmi un lavoro al più presto.

Mi avvicino allo sportello e compro un biglietto per la città più grande e costosa dell’Australia.

lunedì 23 giugno 2014

Addio Melbourne, ti saluto con tre hangover.

«La verità è che vogliono farci fuori tutti, è così. Vero, babe?»
Tom sostiene che gli aerei con la scia bianca rilascino polveri tossiche per ammorbarci, farci morire o renderci sterili per il controllo della popolazione. Aspira profondamente il suo spinello prima di passarmelo, ma preferisco saltare il giro.
La nuova casa di Tom e Alicia è decisamente in periferia, arrivarci con i mezzi è una rottura, così un paio di loro amiche mi passano a prendere in macchina. È un bel party della domenica pomeriggio. Si festeggiano due cose per la verità: la nuova casa di Tom e Alicia e la mia partenza. Ero reduce di un weekend bello intenso, venerdì ero stata con Marco, il dj-pizzaiolo di Roma, sabato in giro, domenica c’era stato l’Australian Day con Nicoletta e Tamish, che però a una certa avevo abbandonato perché non ce la facevo più.
Quando c’è l’Australian Day tutti gli australiani si riversano in strada per i festeggiamenti. Le prime birre si stappano dal mattino e poi barbeque su barbeque, ovunque. Ogni prato, parco, quel che sia, è colonizzato da capi provenienti da diverse parti della città. Qualcuno è travestito, in molti hanno in faccia disegnata la bandiera australiana e tutti, ma proprio tutti, sono ubriachi. Si svegliano alla mattina già ubriachi di default, secondo me, perché è l’Australian Day.
Ma che cos’è di preciso l’Australian Day? Questa è facile. Festeggia lo sbarco della prima scialuppa britannica a Port Jackson nel 1788 nel New South Galles. Ma se si chiamava New South Galles vuol dire che qualcuno ci era già arrivato prima! E infatti è così. Il nome New South Galles gliel’aveva dato infatti James Cook, che era arrivato a Botany Bay nell’aprile del 1770. Con la prima scialuppa britannica, lui. Il 26 gennaio quindi, più che sbarco della prima scialuppa britannica come dice ogni australiano, è in realtà la data in cui Arthur Philip, primo governatore del New South Galles, inaugura Botany Bay qualche chilometro più a nord e la chiama Sydney. E tu, straniero, che approdi a Sydney per la prima volta, sappi che dove c’è adesso l’aeroporto quella è esattamente Botany Bay.
Alla festa a casa di Tom e Alicia c’è un sacco di gente, la maggior parte li conosco tutti. Ci sono anche Julia e Claire e gli leggo le carte. Claire pensa a Eduard e le dico che anche Eduard pensa a lei, anche se adesso c’è la distanza a separarli. Julia se ne andrà presto in India, un po’ per vacanza un po’ per trovare se stessa. Tanti vanno in India per “cercare se stessi” o per “trovare se stessi” o, ancora, per “ri-trovare se stessi”. Comunque sia, ora mi è chiaro perché l’India è sovrapopolata.
Alicia ha piazzato una piscinetta gonfiabile in mezzo al prato e montato uno dei suoi dj set davanti la cucina. Facciamo una bella foto tutti insieme, con le birre in mano, le collane floreali, io la mano fasciata per la tendinite. Grazie al cielo mai più teglie sataniche da scrostare, finalmente potrò riposarmi. C’è chi piange perché parto, e in effetti, non rivedrò mai più nessuno di loro. Fa strano stare davanti a qualcuno che sai per certo non rivedrai mai più. Per fortuna c’è facebook, ma anche l’algoritmo degli I like, delle interazioni e delle cerchie riducerà giorno dopo giorno la loro presenza sulla tua homepage.
Torno a casa ubriaca lercia, sono totalmente frastornata, la stanza mi gira attorno come una giostra. Nicoletta si è da poco ripresa dal suo di hangover, mi dice qualcosa ma ricordo ben poco. Ah, ecco, mi dice che Tamish vuole essere svegliato al mattino prima che io parta – tipo alle cinque – poi al mattino quando lo sveglierò mi darà il foglio con l’ultima bolletta da pagare. Che tenero.
Ho lasciato a Nicoletta alcune mie cose, ho cercato di alleggerire lo zaino il più possibile. Le cose più pesanti sono il mio portatile con tanto di tavoletta grafica e la reflex. Prossimo viaggio lascio la macchina fotografica a casa. Proprio non mi piace scattare fotografie. Non ha senso, visto che su internet ci sono milioni di foto uguali alle tue. Per i momenti intimi, quelli unici che non trovi su Google, non mi va di interrompere il momento facendo foto. Poi tanto al massimo c’è qualcuno con il telefono con più megapixel del mio che mi taggherà da qualche parte. E se ti metti a fare foto alle feste non ti godi il momento e hai sempre il pensiero di questo ingombro. E poi, come fai a ballare e a pomiciare con la macchina fotografica al collo?

Salgo sul pullman, trafelata, emozionatissima. Si parte. Prima tappa Canberra, poi Goulbourne. In direzione del niente.

lunedì 16 giugno 2014

Mi taglio i capelli da sola.


Mi taglio i capelli da sola guardando un tutorial su Youtube. In pratica ti devi fare la coda di cavallo bassa e cominci a tagliare due dita dall’elastico, in modo che non vengano troppo corti. Avrei potuto fare un video a mia volta per mostrarvelo ma non ci ho pensato. Erano tutti rovinati, li avevo colorati di rosa un casino di volte, poi ero ritornata del mio colore, sempre acidi sono. Zac, e passa la paura. Erano parecchio storti, ma che importa, sono in Australia, e poi la Cate è recidiva a questo tipo di cose. Alle superiori, un pomeriggio, a casa di un amico, in due mi avevano tagliato i capelli, uno con le forbici da carta e l’altro con quelle da pesce. Erano venuti storti anche allora. Aggiustandoli da me mi ero alla fine rasata le tempie, tenendoli corti dietro. Vabbè avevo 16 anni, ero carina lo stesso, con la giacca di vellutino rosso porpora comprata in un mercatino di Amsterdam, sbaccolata qua e là, di due taglie più grande della mia misura.
Quella sera al lavoro, due miei amici mi fanno una sorpresa e mi vengono a trovare. Sono Marco e Luciano, uno di Roma, l’altro di Palermo. Rimaniamo che facciamo una birra insieme quando stacco.
C’è un pub carino all’angolo di Elizabeth street, il Workshop. Elizabeth street, quanti ricordi. È stata una delle prime vie che ho sentito nominare. Ok, è una delle vie principali, la coronaria che unisce la periferia al centro, ma mi risuona dentro la sua eco, una voce che ha trattenuto i primi scatti del mio arrivo in Australia. Le mappe mentali che ti fai della città e che poi stravolgerai totalmente mano a mano che unisci una via all’altra, ricostruendo i pezzi della città.
Ordiniamo una jug, che poi diventeranno due. Parliamo d’amore, ci piace tanto parlare d’amore. Io faccio un po’ la spaccona, come mio solito, loro lo stesso, credo sia una componente italiana: io di qua, io di là, un mio amico ha fatto questo e quello, una gara piacevolissima a chi l’ha fatta più grossa, a chi ha il racconto più divertente. Marco ha 23 anni e fa il cuoco in un ristorante australiano. Ha la passione per la musica e ogni tanto fa qualche trasmissione in radio, nella stessa Radio Kiss sopra il Lounge, dove lavoro e dove stipiamo la roba da magazzino. Però non ci siamo incontrati mai. Ci dice che da poco ha iniziato a fare anche le pizze. Ha le idee chiare: sta mettendo da parte i soldi per lo student e restare qua. È piccoletto di statura, vestito malissimo anche lui, ma ha uno charme naturale, e una marea di donne, anche se giovane, di tutte le età – nel limite consentito. È vero, come diceva un mio amico, che “a trombare con la bocca sono buoni tutti”, ma conoscendo sia lui che Luciano non ho dubbi che sia vero. Luciano, il palermitano, lavora invece nel marketing, non mi ricordo bene. E anche lui è Mr. Casanova. Sono due amici di Nicoletta, ci siamo conosciuti in giro.
Parliamo, ridiamo, beviamo. È un pezzo che non uscivo, mi va di fare serata, di stare ancora in giro. Nicoletta s’infurierà che faccio tardi con quei due e che con lei non esco mai, ma un conto è prendere la serata come viene e improvvisare, un’altra cosa è impomatarsi tutte e andare in quei postacci con la musica orrenda dove si va a rimorchiare. Mi viene in mente il Bollicine di Misano Andriatico, una volta per ridere ci ho portato la mia mamma e una sua amica, ne avevo tanto sentito parlare quando ero piccola, è per gente che ora ha tra i 40 e i 60 anni e che negli anni ’80 ne aveva un po’ meno. È stata un’esperienza. La cosa era surreale. Le donne sui divanetti e gli uomini come sciacalli facevano le ronde e chiedevano alle signore se volevano bere qualcosa o ballare. L’amica di mia mamma non l’ha presa sul ridere e ha detto che non si è mai sentita tanto a disagio in vita sua.
Detto questo, Marco mi fa, perché non andiamo da me? Sì, dico io. Luciano però ci da buca perché il giorno seguente aveva un meeting e doveva svegliarsi presto.
Prendiamo un taxi perché dopo aver camminato per un bel pezzo i tram avevano esaurito le corse. Marco sta decisamente in periferia e vive in casa con la sua zia quasi ottantenne. Che figata, penso, in quale altro modo poteva capitarmi di finire nella casa di una signora anziana! Era come entrare a conoscenza di qualcosa di intimo e di privato, la vita di una donna emigrata a Melbourne tanti tanti anni fa con le speranze e i sogni forse uguali, forse diversi dai nostri.
È una casetta monofamiliare, pulitissima, con vecchi quadri alle pareti, foto di parenti, nipoti e cugini. Tante statuette senza senso, alcune fatte di conchiglie, altre di ceramica e stoffa.
«Non preoccuparti, parla pure ad alta voce, mia zia è sorda come una campana.»
Marco tira fuori una palla. Pasta per la pizza. Mi fa vedere come la lancia in aria e come diventa larga e fina, lancio dopo lancio. Tira fuori anche un rum e con quello ce ne andiamo in cortile. Ha un pappagallo enorme in una gabbia. È aggressivo, come ti avvicini ti becca.
«Si deve abituare a me, ma io non ho fretta. Sono capace di passare con lui ore e ore finché non imparerà a fidarsi di me.»
Il cortile e bello grande e ci sono alberi di limoni e un reticolato su cui si arrampica una vite. Quando andiamo a dormire facciamo all’amore. Poi al mattino, verso le cinque, prendo il treno per tornare a casa.

Ormai mancano pochi giorni alla mia partenza. Le ultime settimane sono intense e piene di feste. Da una parte sono contenta, dall’altra non ne posso più. Sogno la fattoria dei cavalli, svegliarmi all’alba per curare gli animali, studiare e non sentire volare una mosca. Oddio. Se vado in fattoria sarà difficile. Anyway.
Saluto i ragazzi di Pesaro ma tanto loro li sento sempre su facebook e al telefono anche se non ci vediamo quasi mai. Se penso che Matteo Magi del bar non l’ho visto un solo giorno! Eppure l’ho sentito un casino di volte, al telefono e su whatsapp, lo stesso Colo, Euso. Matteo Magi è un altro numero uno che consiglio vivamente alle ragazze. È un amatore vecchio stile, di quelli che ti riempiono di attenzioni e complimenti, 10 e lode a Matteo Magi. E poi, è approdato qui senza sapere una parola di inglese ma nel giro di poco tempo ha avuto a che fare con Kate Perry e la Formula 1. Matteo Magi, numero uno.
Marchino se n’è andato in Quensland, Giuliano ci diamo un appuntamento prima di salutarci. Appena lo vedo mi dice che deve beccare un tipo. Ok, capito. Un pomeriggio l’avevo aiutato a fare i pacchettini. Non avevo mai visto tanta erba tutta insieme. E avevo conosciuto anche il boss, un vecchio irlandese con pochi denti in bocca, 50 anni portati male, la pelle bruciata dal sole, i capelli gialli e incolti. Ma anche io! Non mi potevo innamorare di un giornalista, di un ricercatore, di qualcuno che ha fatto tre tiri di maria giusto per provare e poi basta? Di qualcuno che non ama troppo bere se non di tanto in tanto?
A Milano (prima di mettermi con un ricercatore!) facevo la cameriera in una spaghetteria di Lambrate. Frequentavo allora – nel senso di amico –  un tipo che tutti chiamavano il Rumenta. Il Rumenta aveva 40 anni, un aspetto poco raccomandabile, spacciava principalmente cocaina. Non aveva il telefono, in modo non farsi beccare, e ogni volta mi chiamava da cellulari diversi. Viveva con sua madre e i suoi problemi respiratori in una casa popolare a Rozzano. L’avevo seguito nei parchi di Milano nel cuore della notte, nelle case di buoni acquirenti che gestivano locali di una certa rendita. Una volta mi aveva detto, col suo accento cantinelante, Bimba, hai presente il tipo di prima? Ecco, dimenticatelo. La settimana dopo era stato accoltellato fuori un bar dalle parti di via Rombon. E lì era morto. Chissà che fine ha fatto, il Rumenta. Quando telefono a Teresa, la mia vicina di casa di allora, mi dice che nessuno l’ha più visto in giro. Si dice sia finito alle Canarie, da qualche amico. A volte penso che non mi sono mai fatta mancare niente. Ogni tanto qualcuno si chiede cosa diavolo ho intenzione di combinare nella vita. Per quanto mi riguarda, la risposta è vivere. Non abbiamo molto tempo, prima della morte. La morte è una realtà concreta, non dico niente di trascendentale, ma nessuno ci vuole pensare. Io voglio godermi ogni singolo istante e dico grazie alla crisi economica che ha impedito che mi trovassi un buon lavoro. Un buon lavoro è come un buon fidanzato, è sempre un’impresa lasciarlo perché anche se non lo ami più e non ti fa più felice il resto del mondo ti dice: cretina. Arrivare. Non c’è fine all’arrivo, è un videogioco a livelli infiniti che ti prende solo la scimmia di superarli. L’unico mio rammarico per il passare del tempo è che ho bisogno di riposarmi più spesso. Anyway.

Sistemata la compra-vendita andiamo finalmente a cena. Giuliano mi lascia scegliere un cinese, credo fosse il primo posto dove abbiamo pranzato. Parliamo tanto, tutta la sera. E io rido, rido da morire, con lui rido sempre da morire. Finiamo poi un un pub, non c’è nessuno, due birre in bottiglia. Ci vorrà un bel po’ prima di rivedersi ancora.

lunedì 9 giugno 2014

Lasciamo Melbourne.

Dopo che i ragazzi tedeschi se ne sono andati, la casa riprende i suoi ritmi lenti. Alicia e Tom si fanno sempre più silenziosi – a parte quando scagnarano – e Tamish è rientrato dai suoi dieci giorni di meditazione intensiva, vale a dire senza telefono, senza alcool e sigarette, ma soprattutto senza rivolgere parola o sguardo agli altri del gruppo.
«Come è andata?», gli chiediamo io e Nicoletta appena lo vediamo. Magnificamente, ci risponde, è stato stupefacente. Continua con l’elenco degli aggettivi, tra l’altro una cascata di sinonimi, e non riesce a spiegarci cosa ha reso “incredibile” la sua avventura.
«Una sigaretta ce l’hai?»
«Ma, Tamish! Sei appena rient… »
«Shout up, d’accendere?»
Tamish spende 20,000$ all’anno in meditazione eccetera. Telefona al suo guru, di tanto in tanto, e anche questo gli costa una fortuna, perché il caro maestro si fa pagare al minuto. Sarà la vicinanza con l’India – sicuro –, fatto sta che gli australiani sono parecchio dentro la questione spirituale. E mi viene in mente Pasolini e i suoi Comizi d’Amore, di quando andava per le strade a intervistare gli italiani sul problema del sesso. Le risposte che ho ascoltato sono state abbastanza sempliciotte e approssimative, non troppo distanti da quelle di tanti cattolici nostrani. Ma al problema spirituale ci arriveremo più avanti, quando approderò a Sydney nel cuore di un tempio Hare Krisna. Melbourne, a parte il mio housemate, se la vive apparentemente più easy.
Finita la sigaretta, Tamish mi allunga un foglio con i calcoli di affitto, bollette eccetera. Da una rent mensile che sarebbe dovuta essere 800$, arrivo a pagarne 950$. Col lavoro che faccio non me la posso più permettere. Decido così, in un caldo pomeriggio di mare sulla costa di Mornington, che è il caso di lasciare Melbourne e di proseguire la mia avventura da qualche altra parte.
Ho ancora un mese da passare qui. Sono un po’ esausta, a dire il vero. Il lavoro mi ammazza, Nicoletta si trasferirà presto da me, non voglio vivere con un’italiana e poi, con lei vicino, il mio tempo libero non esisterà più, perché diventrà il suo tempo libero. Significa che mi farà prendere un po’ di sole, che di mio me ne starei chiusa in casa riversa sulle grammatiche d’inglese.
Facendo un riepilogo di questi primi tre mesi dico che sono stati grandiosi: ho conosciuto un sacco di gente, ho imparato mestieri e parole nuove, mi sono decisamente divertita e ho valutato diverse opzioni di sopravvivenza. Sugli incontri, i migliori sono stati sul tram. Sarà scritto nel mio karma, avrò una faccia di quelle che stimolano la conversazione, non lo so, ma le persone mi parlano senza che io faccia niente. L’inglesino di 21 anni in mdma sparato, un tedesco di 27 che cercava lavoro, due giapponesi che facevano i cuochi, una suora che parlava dieci lingue, un padre con suo figlio sedicenne, il tipo dei biscotti di maria – quello vabbè, l’avevo conosciuto a una festa – e altri che non ricordo ma che sicuramente sono esistiti.
Sempre della categoria “conoscere gente”, se non capita per caso, ripeto, per cominciare il couchsurfing è un valido supporto. Avevo partecipato a un paio di serate in birreria dove altri viaggiatori come me si incontrano per scambiare due chiacchiere e conoscersi. Io avevo la punta con una ragazza olandese che aveva scritto sulla bacheca di couchsurfing “cercasi amica disperatamente, vivo con cinque uomini, ho bisogno di parlare con una ragazza!”, ed era stato carino che altre ragazze si erano unite a noi quella sera, finita con una bella sbornia e qualche tiro di canna. Questo comunque è stato all’inizio, quando vivevo con Giuliano e mi trovavo nella sua identica situazione. Poi è stato buffo che un pomeriggio me la ribecco in Albion street. Anche lei viveva lì, incredibile. Ci siamo promesse una cena che non c’è mai stata, e da quel giorno non ci siamo più riviste.
Sulla sopravvivenza invece, quando sei in cerca di lavoro o di come raccimolare qualche soldo, sei come una lepre pronta a scattare al minimo sussulto. Avevo sentito che se donavi il sangue per la ricerca sul cancro ti davano 30$, però potevi donare non più di una volta al mese – erano sempre 30$!; fare la modella di nudo per un privato – la paga era buona anche se adesso non me la ricordo; fare i massaggi in bikini – di questo manco a parlarne, anche se ho una cara amica che lo fa da parecchio tempo, e aggiungo, con le mie misure non mi prendevano sicuro.
Com’è andato il capodanno?
«Nicoooo! M’ha scritto Giuliano!», lo sapevo, lo sapevo che mi pensava!
Ok, siamo d’accordo, era un bloody messaggio su come ho passato le feste, che però mi aveva fatto fare salti di felicità lo stesso, visto che non ci eravamo più sentiti. E poi, se vuoi bene a qualcuno, ti si allungano gli angoli della bocca solo a sentire tintinnare il suo nome.
E comunque, non è che fosse cambiato qualcosa.
Più passavano i giorni, più mi esaltavo all’idea di partire. Il piano era di fare woofing in qualche fattoria, che significa lavorare non più di 4, 6 ore al giorno in cambio di vitto e alloggio. Ovviamente non sono lavori pesanti, però dipende sempre dove vai. Io avevo trovato una fattoria che allevava i cavalli da corsa. Greg e Tony erano i titolari, a giudicare dai nomi mi ero prefigurata due fratelli o una coppia gay, invece erano marito e moglie. Sì perché non era Tony ma Toni. Il sito web faceva pensare a un posto davvero fico. Mi ero immaginata un’immensa scuderia immersa nel verde, con tutti quei cavalli e io, come Heidi, gozzovigliare tra le balle di fieno.
Comunque avevo scelto l’opzione woofing per due importanti motivi: la mia mano destra con la sua orribile sindrome del tunnel carpale – sapete com’è, faccio l’illustratrice! –, e dedicarmi allo studio. Va bene l’inglese imparato parlandolo, ma non è uguale se ci applichi le sue belle regoline, fai l’orecchio a diversi generi di scrittura e scrivi. È come mettere una canna di bambù a sostegno della piantina che cresce, così viene su diritta.

E poi chissà, magari ribecco pure lo scozzese! Sydney non mi ispirava granché, sono stata per lungo tempo una paladina di Melbourne, e invece mi sono ricreduta.

domenica 1 giugno 2014

Come si dice "mi piaci" in italiano?

Poi la sera rientrando in casa, due ragazzi tedeschi escono dalla camera di Tom e Alicia.
«Abbiamo conosciuto Tom e Alicia in campeggio. Tom ci ha detto che possiamo fermarci qui qualche giorno. È stato proprio gentile, anche se era ubriaco quando ce l’ha chiesto.»
Avranno su per giù vent’anni, lungagnoni e spalle larghe, uno è così biondo da avere le ciglia quasi bianche, l’altro ha gli occhi verderame e i riccioletti castani. Io e Simona senza nemmeno guardarci pensiamo la stessa cosa.
Facciamo subito amicizia. Sono patiti di motocross, ci fanno vedere le cicatrici che hanno sulle braccia, sul petto, sulle spalle. Il biondo, che dice di avere 24 anni, sa chi è Fabri Fibra e ha una sincera venerazione per Valentino Rossi. Capirai, ragione in più per diventarmi amico, visto che sono di Pesaro. L’altro, silenzioso, gli occhiali da dentista, la camicia infilata in pantaloni della giusta taglia, bella cintura, ha 19 anni soltanto. Anche loro sono due WHV che come me si sono buttati in questa avventura. A differenza di me però questo è il loro secondo anno e viaggiano su un furgone.
La notte è limpida e profumata, ci sono un sacco di stelle nel cielo. Dopo essere stati da Nicoletta e avere finito ufficialmente gli avanzi delle feste, ce ne andiamo in veranda da me. Tom e Alicia se ne vanno a dormire e restiamo noi quattro.
Si crea un’atmosfera che mi catapulta dritta nel ricordo di qualche pagina di Jules et Jim, di quando, prima di innamorarsi entrambi follemente di Catherine, i due oziano di salotto in salotto, temporeggiando l’esistenza con aforismi, oppiacei e belle scopate occasionali.
Ci raccontano così le loro mille avventure, brillantemente: del lavoro nelle farm, degli strani personaggi incontrati in giro, della Gemania, del vivere sempre come viene.
«Come si dice mi piaci in italiano?»
Eduard ha gli occhi di un azzurro ghiaccio che vibrano per intelligenza e un briciolo di spacconeria.
«E in tedesco, come si dice in tedesco?»
Le ore più si fanno piccole più si mangiano la notte, così ce ne andiamo a dormire con la promessa di passare del tempo insieme il giorno dopo.

Quella mattina lavoro, così ci incontriamo in cbd nel pomeriggio. C’è anche Tom con noi, mi fa piacere, non ne so abbastanza da fare da Cicerone e addirittura Simona ne sa più di me, che era venuta a visitare Melbourne tempo prima. Ma sapete, quando lavori non ha tempo di girarti la città e quando sei off sei così stanca che ti vuoi riposare, senza dire che devi fare il bucato, la spesa, tutte quelle cose per prenderti un po’ cura di te.
Ci prendiamo una birra in un posto fichissimo che si trova nel bel mezzo del fiume Yarra che serpenteggia un paio di volte prima di sfociare nel mare. È un punto parecchio turistico, s’immagina, ma la birra costa come dalle altre parti. I backpeker sono poveracci per definizione, specie gli europei. Avevo fatto amicizia con una ragazza cinese in fabbrica, un amore di ragazza, ecco lei per esempio aveva preso la casa vicino alla fabbrica con altre ragazze cinesi, in camera doppia, lavorando mesi e mesi senza sosta e guadagnando però un sacco di soldi. Ecco, per me non ha senso campare così, visto che se vuoi ti diverti – tanto! – con niente, specie se non fumi, non usi droghe, bevi poco e ti accontenti di avere dieci magliette in tutto.
A parte questo, decidiamo di fare un po’ di spesa e di improvvisare un barbecue per la serata. Si fa presto, Alicia telefona ad alcuni amici, che dicono subito di sì senza pensarci troppo, non come in Italia che devi fare l’evento su facebook una settimana prima, dove gli stessi che si lamentano che non c’è mai niente da fare sono oberati di impegni e non sanno se riescono a liberarsi.
Comunque, nel giro di poco tempo, la casa si riempie: ci sono gli amici di Tom e Alicia, Nicoletta e i suoi housemates, gli amici di Eduard e Ferdi.
Il bello di Alicia e Tom è che sono due fuori di testa. Lei, siccome le piaceva l’idea di fare la dj, s’è comprata un impianto sfacciatissimo e le luci stroboscopiche; lui la segue fedelmente in ogni sua follia e in men che non si dica il salotto è diventato un club, con tanto di birre gelate da prendere direttamente dal frigo.
Julia è un’amica di Alicia e in passato aveva lavorato come spogliarellista. È una ragazza acqua e sapone, magra come un giunco di palude, senza seno, 22, 23 anni, lo non diresti mai. Ci andrò poi a casa sua, un appartamento bellissimo in piena Fitzroy, con un pianoforte, le finestre alte ottocentesche, e un palo che scende dal soffitto sul quale si arrampica e si attorciglia ogni tanto. Vive con Claire la ragazza di Eduard. Lei e Eduard si erano conosciuti anche loro in campeggio e avevano dormito insieme. Lei però è arrivata dopo alla festa, intanto sono successe altre cose.
Julia, dicevo, a un certo punto s’è tolta il vestito ed è rimasta in mutande. È finita che siamo rimasti tutti in mutande. Non credete, non c’era niente di strano in quel gesto, tanto meno di lubrico: era semplicemente estate, c’era la musica e i grilli, buona musica e forse sì, qualche birra di troppo. Oddio, c’era sì un po’ l’atmosfera de Il tempo delle mele, i baci rubati, gli abbracci, ma tutto restava tremendamente innocente. Credo fosse lo spirito che c’era in ognuno di noi, cantavamo il nostro inno alla bellezza. Avevano tutti poi poco più di vent’anni, io forse l’unica di 30.
Poi c’è stato un momento incredibile sull’istante, imbarazzante il giorno dopo e divertente adesso che ci ripenso. Ad un tratto Eduard viene da me e mi dice che piaccio tanto al suo amico, e io, ammorbidita dall’alcool e dai suoi occhi di ghiaccio così difficili da evitare, gli dico che no, non c’è storia, mi piaci solo tu, o tu o nessun altro. Sorride e da vero gentleman mi da un bacio sulla guancia, con Claire che stava seduta lì vicino e si era vista tutta la scena.
Evabbè amen. Vado da Simona e le racconto l’episodio, e ovviamente ride da morire. Poi ad un tratto sparisce anche lei. Eduard e Claire si sono chiusi in camera, nella mia di camera ci stanno tre persone che non ho capito chi. Mi rimetto la maglietta e con un avanzo di pane e patate mi siedo per terra a mangiare. Nicoletta è alle prese con Brad. Si mettono a litigare, lui la offende dicendo che quello che c’è stato tra di loro è ormai polvere, così lei mi prende per il braccio e mi porta a dormire a casa sua.
Le due case continuano intanto a ospitare i set di Beautiful. Due coppie si sono più o meno stabilizzate, come negli acquari naturali che se aggiungi un elemento nuovo tutto l’ecosistema si sballa. Le coppie sono Eduard e Claire, che profumano d’amore a un chilometro di distanza, e… Simona e Ferdi. Sì, lei ce lo conferma, niente di che, lei ha 28 anni, lui 19 e non è mai stato con una ragazza. Si sono scambiati qualche bacetto e hanno dormito abbracciati. Siamo di nuovo in camera di Nicoletta a tirare le somme della serata. Nell’altra stanza gli amici del metal stanno fissi davanti la tv, vampirizzati da un videogioco. È l’ultimo pomeriggio, ognuno è per tornarsene a casa, gli entusiasmi si sono intiepiditi.
Simona prenderà il suo volo per Perth, al lavoro chiedo al mio capo com’è andato il capodanno. Lui mi dice che è stato una porcheria, né droga, né troie a St. Kilda.
A casa c’è rimasto solo Ferdi perché Eduard s’è trasferito da Claire. Finalmente ho un po’ di tempo per riposarmi, per studiare un po’, mi dico, quando sento ticchiettare sulla mia porta.
«Facciamo qualcosa?»
Ferdi mi rivolge lo sguardo pigro di un ragazzino che è stufo di fare i compiti. Evabbè, mi dico, sarà un’occasione per allenare il mio inglese, anche se ho solo voglia di stare a casa.
Incontriamo un paio di suoi amici che erano alla festa la sera prima. Il ragazzo che aveva chiesto di me a Eduard si vergognava, così ci ha messo del tempo prima di guardarmi in faccia, e io ovviamente ho fatto di tutto per sdrammatizzare. Siamo in un centro commerciale, Ferdi cerca un paio di pantaloni, dice che non vuole spendere ma ogni volta si indirizza sulle linee più costose. Vai in un negozio di seconda mano, gli dico. Sbuffa annoiato, però domani facciamo qualcosa, non come oggi. Non sono mica tua madre, mi sfugge, io lavoro, non ho tempo di portarti a spasso. Apriti la guida e studiati le cose che ti piacerebbe fare.
Eduard, Claire e Julia ci aspettano in un bar a Fitzroy. Ci scambiamo sguardi di imbarazzo, io e Claire, ma poi rompiamo il ghiaccio. Sia lei che Julia sono due ragazze strepitose. Entrambe studiano teatro, Julia come attrice, Claire come sceneggiatrice. Claire ha pubblicato già un’opera, in biblioteca, dice, Eduard pesca un libro ed era il suo. Incredibile, no? Sarà stato il destino.
Ormai sono sciolta, do il meglio di me, Eduard si diverte e facciamo i cretini. Lui mi sfotte per il mio accento italiano e fa la mia imitazione, io ricambio e tutti ridono. Cambiamo bar, io racconto alcune delle mie tante storie, faccio sempre la parte del marinaio con la sua bella scorta di leggende e riti e magie apprese dalla strada.
Finiamo in un club con bella musica dal vivo. L’ambientazione è stile hawaii, con le palme di plastica e il personale con le collane di fiori al collo. Io sono vestita male come al solito, ho una maglietta nera con lo scheletro della cassa toracica disegnata (che avevo comprato al museo della Scienza e della Tecnica a Londra), la camicia a scacchi e i jeans. Faccio ballare dame e damerini, di tutte le età, anche un vecchietto vestito di bianco con il panama in testa. Da quattro che eravamo a ballare in mezzo alla pista diventiamo prima dieci e poi venti. A Ibiza facendo così mi avevano offerto un posto di lavoro. Tutti si divertono un casino, mi piace fare il giullare di corte, Claire e Julia mi guardano con ammirazione. Julia mi chiede di trovarle un ragazzo. Per quanto sia bellissima, è giovane e insicura, assomiglia terribilmente alla ragazzina che ama Woody Allen in Manhattan. Le dico che so quello che ci vuole per lei. Corro in mezzo alla folla danzante, scovo un bell’ombroso coi capelli lunghi in piedi all’angolo (in piedi agli angoli a volte ci stanno i migliori). Lui s’incazza sul momento, pensa che lo prendo per il culo, finché non spunta tra le teste la manina di Julia che saluta nascondendo un sorriso. Parlano, ma lui non ha ben chiara la situazione e molla. Ok, stavolta m’è andata male, ogni tanto sono brava ad accoppiare le persone.
In pista riprendo a fare la scema e mi inginocchio ai piedi del palco, con la mano sul cuore, guardo il chitarrista e gli dico più volte “I love you”, e sbatto le ciglia, con tutti gli altri che se la ridono, gli strappo un sorriso sghembo, intanto che mi guarda stranito.
Niente, finisce che scherza che ti scherza, finito il concerto, il chitarrista si fa largo in mezzo alla folla e mi cerca. Tutto è molto romantico, come nei film, mi guarda da lontano, si avvicina lentamente. Balliamo un po’ con le fronti attaccate (e intanto penso, ma pensa tu!) e alla fine mi bacia. Si è fatto tardi, i ragazzi decidono di andare. Gli scivolo via tra le braccia e corro di fuori esultante.
Dormiamo tutti a casa di Julia e Claire. La casa ripeto è antica e meravigliosa. Poche cose ma di valore. Una libreria tarlata ospita vecchi tomi enciclopedici, poi un pianoforte, due bei divani, e questo palo d’acciaio che scende dall’alto.
Al mattino mi sveglio presto, saranno circa le 7. È il mio day off e non ho fretta, ma mi piace andarmene da sola senza svegliare nessuno e camminare per conto mio per la città.